Incinta dopo aborto spontaneo: è possibile?

2 Novembre 2022

In seguito ad un aborto spontaneo, molte donne vivono una situazione di profondo disagio emotivo, interrogandosi sulle possibili cause e spesso, erroneamente, colpevolizzandosi per non essere in qualche modo state in grado di portare a termine la gravidanza.

La verità è che, in seguito ad un aborto, la probabilità che un’interruzione di gravidanza si verifichi nuovamente esiste, ma è anche importante sapere che si tratta spesso di una casualità. Il fatto stesso di non aver portato a termine una gravidanza non preclude assolutamente il poterlo invece fare al secondo o terzo tentativo.

Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, una percentuale di gravidanze che va dall’8 al 20% si conclude con un aborto spontaneo; è facile quindi intuire che un’interruzione precoce di gravidanza è un fatto relativamente frequente e nella maggior parte dei casi non deve destare preoccupazioni. Può succedere infatti che l’embrione presenti delle anomalie genetiche, incompatibili con la vita e di conseguenza la gravidanza venga interrotta spontaneamente.

Subire un aborto spontaneo inoltre non è affatto predittivo relativamente alle future gravidanze: generalmente, già dall’ovulazione successiva, una donna è perfettamente in grado di concepire un figlio e di condurre a termine regolarmente la gravidanza.

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Quando prestare attenzione

Come abbiamo detto, un singolo episodio di aborto spontaneo non dovrebbe destare alcuna preoccupazione. Il medico curante stesso, in assenza di altri segnali di allarme, difficilmente prescriverà esami diagnostici specifici. Nel caso però si verifichino altre interruzioni di gravidanza nei mesi successivi alla prima, è certamente indicato procedere con un’indagine approfondita delle possibili cause.

È importante tenere in considerazione che dopo un primo aborto, la percentuale di probabilità che una donna abortisca nuovamente non cambia; è invece con l’aumentare degli episodi, che tale dato aumenta notevolmente.

Fattori di rischio possono essere l’età avanzata della madre o malattie pre-esistenti, come ad esempio il diabete. Mentre queste sono cause evidenti, in situazioni particolari come alterazioni genetiche o malattie autoimmuni latenti, l’indagine medica può risultare più complicata.

 

L’impatto emotivo di un aborto

Prima di approfondire il tema dal punto di vista prettamente medico, è necessario tenere in grande considerazione l’aspetto emotivo della perdita di un feto da parte di una donna. Come per qualunque situazione emotivamente coinvolgente, la reazione di ognuno è soggettiva. Ci sono donne che gestiscono la perdita con un certo distacco e non subiscono particolari trambusti emotivi; ma ci sono donne che faticano ad accettare l’accaduto, se ne sentono responsabili e possono trovare difficoltà nell’iniziare un percorso di approfondimento fatto di visite e analisi, così come potrebbero impiegare alcuni mesi prima di sentirsi pronte per un altro tentativo.

Forzare i personali tempi di ripresa non è mai una buona soluzione, considerando anche l’impatto che la mente ha sul corpo.  Ritentare una gravidanza prima di aver correttamente elaborato il lutto della perdita potrebbe compromettere la capacità della donna di restare incinta e ciò non farebbe che aumentare le sue insicurezze e i suoi timori di non poter diventare madre.

 

Fattori di rischio e ricerca delle cause

Cercare una gravidanza in età avanzata dal punto di vista della fertilità, specie se per la prima volta, può essere un fattore di rischio da tenere in considerazione. L’invecchiamento degli ovuli infatti può compromettere la loro capacità di generare un embrione con le corrette caratteristiche genetiche, causando di conseguenza un’interruzione precoce della gravidanza stessa. Anche malattie metaboliche come il diabete, specie se trascurate o non riconosciute, possono essere causa di aborti, specialmente nelle primissime settimane.

Le cause però possono essere diverse e possono riguardare vari aspetti del corpo, non solo di quello della donna.

Il 70% circa degli aborti è dovuto ad alterazioni genetiche dell’embrione; questo ci suggerisce che anche eventuali problemi nel genoma dell’uomo possono causare la perdita di un feto. Sarà quindi necessario che entrambi i membri della coppia si sottopongano a test genetici che possano escludere l’infertilità, che sia individuale  o della coppia.

Alla donna verranno poi suggeriti esami specifici per controllare le condizioni dell’utero, sia da un punto di vista anatomico che fisiologico. I test diagnostici generalmente comprendono ecografia, isteroscopia, isterosalpingografia, isterosonografia e a volte anche risonanza magnetica. È possibile infatti che l’utero non sia in grado di creare un ambiente adatto all’insediamento dell’embrione.

Anche alterazioni nella coagulazione del sangue materno o patologie autoimmuni possono interferire con il normale proseguimento di una gravidanza: per escludere o individuare anomalie di questo genere saranno necessari esami del sangue specifici. Infine è probabile che il ginecologo suggerisca approfondimenti sullo stato di salute del sistema endocrino, in quanto non sempre la donna è consapevole di soffrire di determinate patologie, come ad esempio un lieve ipo o ipertiroidismo.

 

Aborto spontaneo e raschiamento

Se l’aborto avviene nelle prime settimane è facile che il corpo sia in grado di espellere autonomamente l’embrione. Può addirittura capitare che la donna non si accorga nemmeno di essere incinta e interpreti le perdite come un normale ciclo mestruale giunto con qualche giorno di ritardo. Se invece la gravidanza si interrompe in uno stadio più avanzato, può rendersi necessario un intervento di raschiamento dell’utero per rimuovere ciò che il corpo non è in grado di eliminare da solo. In questo caso è ovviamente fondamentale rivolgersi a professionisti che sappiano operare riducendo al minimo tutte le possibili complicazioni come infezioni o lacerazioni uterine.

Si suggerisce di attendere almeno un ciclo mestruale prima di cercare un nuovo concepimento, questo per permettere alle pareti dell’utero di ristabilirsi completamente. Inoltre il doversi sottoporre a un intervento di questo tipo, sebbene sii tratti di un’operazione semplice, può avere un ulteriore impatto emotivo sulla donna, che potrebbe aver bisogno di più tempo per elaborare l’accaduto.

In conclusione, è bene ribadire che subire un aborto, per quanto possa essere un’esperienza dolorosa, non implica in nessun modo che non si possa comunque diventare madri. In molte delle situazioni analizzate è sufficiente curare la patologia alla base dell’accaduto, in casi più complicati si potrà ricorrere all’aiuto della fecondazione assistita. La cosa fondamentale è sapersi ascoltare, prendersi cura di sé e non avere timore nel cercare l’aiuto dei professionisti, che sapranno occuparsi degli aspetti medici e psicologici di una situazione tanto delicata.

Dott.ssa Priscilla Andrade

Dott.ssa Priscilla Andrade

Ginecologa presso Clinica Fertilab Barcelona

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