Il rapporto inversamente proporzionale tra età e fecondità
Sempre secondo studi dell’ISS il rapporto che esiste tra età e fecondità è inversamente proporzionale: questo vuol dire che tendenzialmente all’aumentare degli anni della donna si verifica una progressiva riduzione della capacità di concepimento.
I motivi principali di questo rapporto sono dovuti al fatto che con il progredire degli anni va via via diminuendo anche la riserva di ovociti potenzialmente fecondabili. Questi, infatti, sono limitati e il loro numero si riduce già a partire dalla nascita: da circa 1-2 milioni si arriva ai 300-500 mila in pubertà, fino a circa 25mila tra i 38 e i 40 anni e infine solo 1000 verso i 50 anni, quindi in prossimità della menopausa.
Da questi dati, si capisce bene che l’età ideale per avere un bambino è tra i 20 e i 25 anni, periodo di massima fecondità.
La scienza non ha ancora dato una risposta sicura ed univoca sul reale meccanismo biologico che sta alla base di questa proporzionalità inversa tra età e fecondità. Alcuni studi sembrano concordare sul fatto che ci siano dei fattori sul cromosoma X che possano intervenire.
Il dato puramente scientifico però andrebbe connesso anche ad un elemento statistico: le probabilità di avere una gravidanza diminuiscono col tempo anche perché c’è una sostanziale diminuzione della frequenza dei rapporti sessuali. Infatti, secondo un team dell’Università di Padova, donne tra i 19 e i 26 anni hanno una probabilità del 50% di restare incinta, dato che scende al 33% tra i 35 e i 39 anni.
La fecondazione eterologa come alternativa alla diminuzione di fertilità
Occorre precisare che molto spesso, la scelta di una gravidanza in età più avanzata dipenda da motivazioni lavorative o personali con conseguente maggiore richiesta di fecondazioni eterologhe.
Infatti, l’avanzare dell’età non ha un’influenza decisiva sull’esito di queste procedure: basti pensare che la differenza nel raggiungimento di una gravidanza con procedure artificiali tra le under e le over 35 è solo dell’8%.
A supporto di questi dati interviene anche la Società Europea per la riproduzione, secondo la quale l’età media delle donne che si sottopongono a tecniche di procreazione medicalmente assistita sia di quasi 37 anni con un forte e progressivo incremento delle over 40, che al 2015 rappresentavano da sole il 34% del totale.
Questo aumento sarebbe anche correlato alle rilevanti percentuali di successo: in particolare, è possibile raggiungere anche il 70% di successo al primo tentativo con tecniche fivet con ovuli di donatrice eterologa. Tutto ciò, quindi, crea delle solide basi affinché sempre più donne optino per queste scelte.
Se da un lato il ricorso alla PMA spesso dipende da scelte personali, sociali o lavorative, dall’altro non sono rare anche le motivazioni di natura puramente sanitaria, per via di patologie che possano interferire negativamente con la funzionalità ovarica.
Guardando questa ipotesi, le variabili negative sono principalmente due, ovvero il decorso del tempo e la possibile incidenza di patologie dell’apparato riproduttivo. In questi casi, è possibile offrire alla donna alcune alternative in modo tale da fronteggiare la patologia e al contempo preservare la capacità di avere una futura gravidanza.
Più nello specifico, si tratta della crioconservazione degli ovuli: è una procedura che consente di congelare nel tempo la fertilità della donna, conservando le possibilità di fecondazione all’esatto istante in cui vengono prelevati gli ovuli.
In casi più estremi, come quelli in cui sia necessario sottoporsi a trattamenti chemio o radioterapici, si può prelevare e conservare tutta la corteccia ovarica che potrà essere poi trapiantata in un secondo momento, quando la terapia sarà terminata e sarà ripristinata la restante funzionalità ovarica.